Come è fatto un ombrello e quando, dove e da chi è stato inventato

Inventato migliaia di anni fa, non ha ancora mutato il suo aspetto e non ha subito alcun cambiamento radicale, tranne qualche variante sul tema come gli ombrelli inversi, ma gli ombrelli di cento anni sono quasi indistinguibili da quelli di adesso.

Certo cambiano i materiali, quelli sì che hanno subito un grande cambiamento in positivo!

Come è fatto un ombrello

L’ombrello storia di un’invenzione tra sole e pioggia

Dall’alba dei tempi per tutti noi è indispensabile proteggersi da sole e pioggia, basti pensare all’istintivo gesto di portarsi una mano sul capo alle prime gocce!

Gli antichi Egizi usavano dei ventagli parasole così come facevano gli assiri, ma l’ombrello come lo conosciamo oggi è stato inventato nell’antica Cina: con le stecche che formano una raggiera flessibile.

Si hanno conferme di un ombrello in Cina risalenti circa al 600 a.C.

Ripararsi da pioggia e sole attraverso i secoli

Dalla Cina all’India, dall’antica Roma e Grecia fino all’ Egitto. Questo oggetto ha sempre assunto valore simbolico di potere e persino di divinità.

Nell’antico Egitto e in India è stato associato alle dee della fertilità e del raccolto.

Nell’antica Grecia era legato al culto femminile delle divinità Athena e Persefone, divinità venerate principalmente da donne durante le cerimonie religiose

Si hanno testimonianze nell’antica Roma, dove le donne usavano un parasole per ripararsi dal sole utilizzato anche come strumento di seduzione, come ci conferma il poeta coevo Ovidio, fatto di tessuti pregiati, spesso decorato finemente con perle e conchiglie.

Nei secoli successivi l’ombrello assume un significato non solo legato alla sua utilità ma anche al prestigio e si afferma così l’ombrello da cerimonia.

Nel XII secolo l’Imperatore della Cina lo annoverava tra le sue insegne.
Nel 1176 il Doge di Venezia chiese al Papa il permesso di mostrarsi in pubblico con un ombrello in broccato e tessuto con fili d’oro, eclatante manifestazione di potenza e nobiltà.

Nel Cinquecento il parasole giunge in Francia, per mano sembra della corte di Caterina de’ Medici. Da qui viene esportato nel secolo successivo in Inghilterra, ed è proprio in quelle terre piovose che iniziò a essere utilizzato dalle donne per ripararsi dalla pioggia, tanto che fu considerato oggetto femminile per molto tempo.

Il Dr Jonas Hanway fu uno dei primi uomini a usare l’ombrello parapioggia per le strade di Londra.

Verso la fine del Settecento, il parapioggia in Francia era già utilizzato in maniera comune e dall’Ottocento, oramai diventato, non solo di uso comune ma addirittura elemento contraddistintivo degli uomini più eleganti, il parasole, trasformatosi in parapioggia, si diffuse in tutta l’Europa e raggiunse anche l’Italia.

L’ombrello era già ampiamente usato nei secoli precedenti in Cina per proteggersi sia dal sole che dalla pioggia, utilizzato solo dall’alta nobiltà.

Costruire un oggetto del genere, con un sistema che piegasse il legno, era molto costoso e gli ombrelli erano veri e propri oggetti di lusso. Furono proprio i Cinesi i primi a impermeabilizzare l’ombrello con cera e vernice.

Come è fatto un ombrello?

La costruzione dell’ombrello con il passare degli anni si è semplificata, così come è aumentata la qualità dei materiali.

Una delle innovazioni più importanti nella costruzione dell’ombrello avvenne nel 1850 circa: l’americano Samuel Fox ebbe l’idea di usare  stecche in acciaio piegate a sezione a U per la fabbricazione dei punti laterali e pieghevoli, con l’idea di costruire una struttura più leggera e allo stesso tempo più resistente. Prima tutti gli ombrelli erano costruiti con canna di bambù, legno o con osso di balena.

L’ombrello tutt’oggi è ancora un oggetto costruito parzialmente a mano da operai e artigiani specializzati.
La struttura e i punti laterali e pieghevoli, sono soprattutto in acciaio o alluminio a sezione a U, uniti all’asta con molle che servono per l’apertura e la chiusura dell’ombrello.

La copertura viene poi cucita spesso a mano sopra le parti di metallo.

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